Il MEIC di Cerignola: Moro, 40 anni dopo

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di Domenico Carbone

La memoria come facoltà della mente di conservare le cose viste, sentite o acquisite si è manifestata ieri sera, presso Palazzo Fornari di Cerignola in una forma finalmente storica, vale a dire mediata dal tempo, scevra dalle emozioni e dallo spirito di appartenenza. Il merito è del prof. Gaetano Piepoli, che, allievo in senso culturale e politico di Aldo Moro, ha illustrato la sua figura nella dimensione di docente universitario, di meridionalista, di filosofo della politica, prim’ancora di raccontare dal vivo i tratti significativi dell’attività politica che fu causa del suo assassinio.

Piepoli, che è stato vice presidente della seconda commissione parlamentare sull’Affaire Moro, nel dichiarare la inutilità dell’organismo bicamerale istituito due volte al riguardo, ha espresso il concetto più condiviso, perché più vero, da tutti gli osservatori e soprattutto dalla gente comune.

Dopo la strage di Moro e della sua scorta, tutto in Italia continuò come prima, come se nulla fosse successo. Amici, così si chiamavano fra loro i democristiani, avversari politici, stampa, televisione, cattedratici, scuola continuarono il loro passo sulla stessa strada senza interrogarsi su che cosa era successo, sul perché e sulle possibili conseguenze.

Niente di niente, tutti avevano fretta di archiviare, la stessa Chiesa cattolica dimenticò subito le parole di Paolo VI. Calcolo e cinismo politico furono spacciati per smarrimento, per legittimo vuoto di coscienza dopo un tale evento.

Soltanto le menti più razionali, più illuminate come Leonardo Sciascia e pochissimi altri inascoltati intellettuali indagarono sulle ragioni, sui motivi che erano alla base dell’eccidio, senza cadere nella trappola volutamente fuorviante delle modalità del martirio dello statista pugliese. La DC pensava che, sacrificando l’agnello più pregiato del gregge, si sarebbe salvata dalla disfatta, dalla scomparsa politica, gli altri partiti guardarono al lucro che ne poteva derivare : ma non fu così, perché finì nel discredito generale la prima repubblica.